1. La responsabilità penale amministrativa degli enti
Fino all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231/2001, la commissione di reati da parte di soggetti appartenenti a un ente aveva conseguenze penali solo per la persona fisica che li commetteva. L’ente, invece, rispondeva esclusivamente in ambito penalistico per il pagamento di multe e ammende in caso di insolvenza dell’autore del reato (artt. 196 e 197 c.c.).
Il Decreto Legislativo n. 231/2001, seguendo l’esempio di altri paesi ed al fine di adeguare la legislazione italiana ad alcune convenzioni internazionali, ha introdotto per la prima volta in Italia la responsabilità penale amministrativa degli enti (persone giuridiche, società e associazioni prive di personalità giuridica), che ora possono essere ritenute responsabili per determinati reati commessi o tentati dai loro dirigenti (i cosiddetti soggetti “apicali”) o da chi opera sotto la loro direzione o vigilanza, come dipendenti e collaboratori esterni (art. 5, comma 1, D. Lgs. n. 231/2001).
2. La natura della responsabilità
Si tratta di una responsabilità di tipo amministrativo, in conformità con l’art. 27, comma 1, della Costituzione, autonoma rispetto alla responsabilità penale della persona fisica che ha commesso il reato, che sorge quando il reato è stato commesso anche nell’interesse o a vantaggio dell’ente. L’accertamento della responsabilità avviene in sede penale e ha l’obiettivo di coinvolgere il patrimonio dell’ente e, indirettamente, gli interessi economici di chi vi è dietro, come i soci (cfr. artt. 2, 8 e 34, D. Lgs. n. 231/2001).
L’ente non risponde nei seguenti casi:
a) se i soggetti apicali e/o i loro sottoposti hanno agito esclusivamente nel proprio interesse o in quello di terzi;
b) ovvero se l’ente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dei reati, modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati stessi.
3. Le tipologie di reati
La responsabilità ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 sorge unicamente per i reati espressamente indicati negli artt. 24–25 octiesdecies o previsti da leggi che vi fanno riferimento, come l’art. 10 della L. n. 146/2006.
Le categorie di reati previste dal decreto coprono numerosi ambiti dell’attività degli enti (reati contro la salute e la sicurezza sul lavoro, reati contro la Pubblica Amministrazione, reati societari, reati tributati, reati ambientali, reati in materia di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita, reati di criminalità informatica, manipolazioni del mercato e abuso di informazioni privilegiate, ecc.)
4. L’apparato sanzionatorio
Gli artt. 9-23 del D. Lgs. n. 231/2001 prevedono due principali categorie di sanzioni per l’ente:
a) sanzioni pecuniarie con un minimo di € 25.822,00 e un massimo di € 1.549.370,00, determinate in base alla gravità del reato, al livello di responsabilità dell’ente ed alla sua situazione economico-patrimoniale;
b) sanzioni interdittive di durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni – applicabili in caso di reiterazione degli reati o se l’ente ha tratto un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in tale ultimo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative – che possono consistere in:
5. Valore esimente dei modelli di organizzazione, gestione e controllo
In questo contesto, i modelli di organizzazione, gestione e controllo (MOGC) assumono un ruolo fondamentale, poiché il D. Lgs. n. 231/2001 riconosce loro un valore di esimente della responsabilità.
Infatti, se il reato è commesso da un soggetto apicale , l’ente non risponde se dimostra che:
- ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- ha affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli nonché sul loro aggiornamento ad un Organismo di Vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza.
il reato è stato commesso eludendo fraudolentemente il modello di organizzazione e di gestione;
Nel caso di un reato commesso da soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, la responsabilità dell’ente è invece esclusa se l’ente prova che, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
Il D. Lgs. n. 231/2001 delinea il contenuto dei modelli di organizzazione e di gestione prevedendo che gli stessi (art. 6, comma 2) devono:
- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della società in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati;
prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Il D. Lgs. n. 231/2001 (art. 7, comma 4) stabilisce poi che i modelli organizzativi devono essere oggetto di verifica periodica ed eventuale modifica quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione e nell’attività.
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